Lettera aperta del parroco della comunità di Santa Maria Vetere Andria
Dialogo Numero Unico Giugno 1992
Pace a voi!
Carissimi, spero di trovarvi bene!
In seguito alla benedizione delle case, che per il Parroco e i suoi confratelli è motivo di incontro con le famiglie per condividerne “le gioie e i dolori”, le speranze e le tribolazioni, abbiamo stilato un referto confortante della Comunità.
La Pace nelle famiglie
In genere nelle famiglie si respira un’aria di pace e di benessere.
Pace con se stessi. È il risultato dell’accettazione del proprio essere nelle varie età, situazioni e condizioni esistenziali e sociali che la vita comporta.
Pace con gli altri. Si è capaci di accettare l’altro nella sua realtà: piccolo, anziano, giovane, sano, malato, ecc…: ogni membro della famiglia trova il suo spazio vitale e la sua accoglienza in essa: “si trova a casa sua”.
Pace con Dio. Non si trovano eccessive difficoltà nell’accettazione della sua volontà e, perciò, della vita e delle sue leggi e del mondo in quanto tali: è difficile trovare persone risentite con la vita e il Signore o scontente; anche chi confluisce nella “malavita” lo fa per risolvere i problemi, per stare meglio, ecc…: non per disprezzo alla vita o perché la vita non abbia senso.
È bello constatare nelle famiglie:
- dedizione ai membri che la compongono fino all’esaurimento: anche il drogato, pur essendo la croce e il martirio della casa, difficilmente viene estromesso o abbandonato a se stesso;
- laboriosità: fedeltà, competenza e affezione al proprio lavoro;
- equilibrio e senso della misura nei rapporti interpersonali, con la società e con i beni del creato;
- possesso di un’umanità molto evoluta e matura: facilità di comunicazione e di essere insieme;
- legami sentimentali, affettivi molto forti: le amicizie, la parentela, il vicinato creano un tessuto sociale godibilissimo e festoso.
L’infanzia
In contemporaneo con la benedizione delle case, abbiamo avuto in Comunità una presenza quasi totale dell’infanzia: la preparazione immediata ai sacramenti dell’iniziazione cristiana, l’Oratorio e la Scuola Materna hanno costituito l’occasione prossima per un bagno nel mondo dell’infanzia caratterizzato da un’umanità così libera, affettuosa, aperta, semplice e simpatica da calamitarti e assorbirti totalmente: il Paradiso piace a tutti. Se si pensa che l’infanzia è il riflesso più genuino delle nostre famiglie, si ha la conferma di quanto di buono sulla famiglia è stato evidenziato in precedenza: non c’è un bambino che non si sente amato e accolto oppure che si senta inibito nel suo essere e nel suo esprimersi.
Riflessioni e proposte
Poiché tutti i tipi di umanità, civiltà, cultura necessitano, alla luce del Vangelo, non tanto di critica o “picconate”, ma di essere battezzati, cioè sostenuti negli aspetti positivi, potenziati negli aspetti carenti, redenti negli aspetti negativi, ci accingiamo a compiere quest’opera di bonifica e di evangelizzazione, proponendo, per quanto riguarda gli aspetti positivi da sostenere nella vita della nostra Comunità, l’unità della famiglia; per quanto riguarda gli aspetti carenti da potenziare un supplemento di soprannaturale; per quanto riguarda gli aspetti negativi da redimere un passaggio da una cultura e mentalità individualiste e familiariste ad una cultura e mentalità comunitarie e solidariste.
L’unità della famiglia
Urge, oggi, se non vogliamo dissolvere e distruggere il patrimonio familiare e sociale che ci ritroviamo, difendere il nostro vivere quotidiano con forti motivazioni morali a sostegno dei valori che soggiacciono al nostro essere e operare nella famiglia e nella società.
L’unità familiare, che tanta pace, sicurezza e affetto genera nei membri che la compongono, rischia di essere influenzata o superata da un permissivismo affettivo e sentimentale che a lungo andare porta alla separazione, alla divisione e alla distruzione della famiglia per tentare nuove avventure, nuove sensazioni e nuovi rapporti.
Noi non siamo per creare ostruzioni od oscurantismi vari alla liberalizzazione della vita affettiva, sentimentale e sessuale, noi siamo per riportare le acque del fiume nel loro corso naturale, per evitare la dispersione delle acque e, perciò, l’impantanarsi e la putrefazione delle acque.
La famiglia è un’istituzione naturale e divina che richiede “continenza” per non fare fuoriuscire o fuorviare quel potenziale di amore unitivo e affettivo che rende possibile la pace e la gioia familiare.
E’ squallida quella famiglia dove il cuore di un componente batte per ciò che vive fuori di essa; è fredda, gelida la vita della famiglia, quando viene castrata la comunicazione interna, per aprire nuove vie all’amore; è uno smembrare il proprio essere e la propria vita, quando si porta fuori della famiglia il proprio corpo o la propria anima: è fonte di turbamento e di divisioni.
Nella nostra Comunità l’unità familiare ha creato una comunione di vita tra i membri che la compongono da fare sentire tutti “a casa propria: ognuno ha lo spazio di esprimersi ed essere se stesso: si sente accolto, amato e stimato; c’è un clima di unione e fiducia da rendere bella la permanenza nella famiglia.
Noi frati, figli di S. Francesco, che dovremmo essere i professionisti della fraternità e, perciò, della comunione fraterna, impallidiamo di fronte o quando siamo dentro la pace domestica che si respira nelle famiglie.
Di fronte a questo paradiso che si è riusciti a creare nelle nostre famiglie tutto va immolato, rivisto e corretto: i figli (maschi e femmine) non vanno lasciati soli, finché non danno prova che sono orientati all’unità familiare: le svendite non servono, il qualunquismo (purché sia uno) non serve; lo sperimentalismo affettivo e sessuale non serve; l’allargamento della maglie sentimentali (l’uno è uguale all’altro) non serve; il matrimonio a tutti i costi (purché si sposino) non serve.
I figli vanno educati ai rapporti veri di amore, alla continuità della vita affettiva, al dono di sé, all’immolazione all’amore.
La nostra umanità necessita di un supplemento di soprannaturale
Nella nostra Comunità l’equilibrio e il godimento umano che si crea nell’interno della famiglia non mette in conto che dietro l’angolo è nascosta “sorella morte” che ghermisce chi vuole e come vuole.
Quando arriva la chiamata di un figlio piccolo o giovane o dello sposo o della sposa, l’equilibrio e il godimento umano si rompono e si frantumano; le ferite si aprono e non si rimarginano.
Manca il senso del relativo, dell’effimero delle realtà umane di tutte le età; manca quel supplemento di soprannaturale che rende accettabile la perdita di ciò che è umano.
L’ animo umano, lo spirito umano restano ancorati e fermi nell’umano, anche quando o la droga, o il cancro o l’AIDS o la morte fanno irruzione nella famiglia: con la morte entra la morte dell’umano, dell’equilibrio e, perciò entrano le tenebre, l’angoscia, ecc…
Dobbiamo imparare a interrompere il rapporto con l’umano e la terra anche quando c’è il sole primaverile che è di breve durata; dobbiamo dare tempo ai rapporti con il soprannaturale (Dio) anche quando stiamo nel pieno della giovinezza, della salute e dei rapporti umani, perché sono di breve durata.
Se eternizziamo e assolutizziamo i rapporti umani e le esperienze umane che non sono eterne e assolute, grande sarà sempre la nostra delusione.
Un furto, una detrazione dei nostri beni in seguito ad un testamento, un rapporto di amicizia o, peggio, sponsale interrotto o non realizzato lascia il segno per tutta la vita in quanto ci fa perdere fiducia in noi stessi e negli altri: iniziamo a sopravvivere, non viviamo; rompiamo la comunione con l’umano e iniziamo a vivere al di fuori della convivenza.
Se scopriamo il rapporto con il soprannaturale e diamo la dovuta importanza e tempo al rapporto con il soprannaturale, il nostro cuore o spirito in questo rapporto di amore sorgivo sarà rigenerato a rapporti sempre nuovi con l’umano. Anche di fronte alle più grosse tragedie e perdite umane, rifiorirà un amore sempre vivo verso gli esseri e le realtà umane; non moriremo nello spirito, con chi muore, perché il nostro spirito continuerà a vivere con il Signore; continueremo a vivere con chi muore nel corpo, perché il suo spirito è sempre vivo nel Signore; saremo sempre in pace e in comunione con l’umano sia che resta con noi e sia che parta da noi.
Necessità di un passaggio o un’integrazione tra la cultura individualista e familiarista
e quella comunitaria e solidarista
C’è una sproporzione non accettabile tra il culto della famiglia, della propria persona o dei propri figli e l’impegno nel sociale, nella Comunità, nella solidarietà.
Concorrere al bene di tutti.
Non si può continuare a tollerare che per assicurare la vita e l’avvenire alla propria famiglia, ai propri figli e alla propria persona si accumulano ingenti ricchezze e proprietà che, tra l’altro, o paralizzano le capacità produttive dei figli o le immettono nello stesso corso produttivo finalizzato alla propria famiglia.
Investire capitali per dare lavoro ad altre famiglie può essere anche rischioso: però è un rischio che bisogna correre per prevenire i mali sociali: la delinquenza, il ladrocinio, ecc…
Se vogliamo una società migliore, tutti devono contribuire al bene degli altri.
Sottrarre al privato. Fare crescere il pubblico.
Per il progresso, il miglioramento della propria famiglia, anche se solo economico, quali sacrifici non si è disposti a fare?
Doppia giornata lavorativa: il contadino finisce la giornata con un lavoro dipendente, e inizia a pomeriggio a lavorare il propri campi; il muratore, completata la giornata lavorativa di 8 ore, inizia un lavoro in proprio; gli artigiani: fabbri, meccanici, falegnami, confezionisti, ecc…, non si sa quando finiscono la giornata.
Questo andamento delle cose, oltre a non lasciare nessun margine di tempo, specialmente all’uomo, di dedicarsi alla comunità, agli altri, ai rapporti umani e sociali, determina danni incalcolabili all’individuo: anche sul versante della salute e dell’integrità fisica, si apre un logorio fisico e psichico che mina l’esistenza alle radici.
Ma, ciò che è peggio, è la mentalità: quegli stessi uomini che acquistano una capacità lavorativa e una resistenza al sacrificio formidabili, quando devono fare qualche sacrificio per la comunità e la società non ne vedono l’utilità.
L’evasione fiscale, l’assenza dalle associazioni impegnate, l’assenza dalla comunità e dagli impegni in essa sono conseguenze.
Urge allargare gli orizzonti alla dimensione comunitaria: ciò che si toglie al privato, al personale, alla famiglia per donarlo alla società, alla Comunità, ecc. servirà tra l’altro per creare nuove strutture sociali, comunitarie e lavorative per impegnare positivamente i figli nel tempo libero e sottrarli, così, dalla droga e vizi vari.
Equilibrare la sproporzione tra individuale e comunitario.
Colpisce nel nostro ambiente la differenziazione che si nota tra il privato e il pubblico.
Da noi alcune case assomigliano ad una reggia, altre sono rinnovate splendidamente, parecchie sono modeste e semplici, poche sono non confortevoli. Altrettanto dicasi per i vestiti, le macchine, ecc.
Nessuno si pone il problema delle strutture pubbliche.
Dove vive il figlio in casa deve essere un’abitazione confortevole; dove vive il figlio fuori di casa non interessa nessuno.
Strutture pubbliche, per coltivare lo sport, la cultura, le associazioni, la vita sociale oltre a non esistere non si intravedono possibilità di esistenza: sia gli amministratori, sia i cittadini e sia le varie agenzie educative non si pongono il problema.
Io non mi meraviglio che cresce “la droga” o la delinquenza: io mi meraviglio che il fenomeno sia ancora abbastanza limitato.
Sarà necessario “qualche scandalo” o presa di posizione per smuovere le posizioni e le mentalità?
Il sottoscritto, prima o poi, farà il primo passo. È assurdo che si debba continuare a votare solo per un discorso clientelare: ‘per una cena o per qualche “buono”‘ e non per un progetto politico concordato e sottoscritto. E assurdo che bisogna continuare a ridurre il quartiere a un dormitorio oppure ad un luogo dove ci si incontra senza un impegno comune ed un progetto comune.
Donarsi anche alla Comunità e alla società
Nell’interno della Comunità dove la comunione e l’impegno per gli altri è la sostanza dell’esistenza, si nota con più evidenza una cultura individualista e familiarista che blocca sul nascere ogni crescita nella comunione e nell’impegno per le Comunità e la società.
Iniziamo dalla gestione familiare dei sacramenti. È bello, è giusto che alla celebrazione dei sacramenti, che implicano una grande gioia spirituale, Battesimo, Comunione, Matrimonio segua anche una festa, un’agape con i familiari e gli amici.
Però c’è modo e modo di gestire queste feste: tutto dipende dalla mentalità che deve prevalere: se la solita mentalità individualista o quella comunitaria. Per ragioni di spazio ci limitiamo a fare qualche esempio sulla Prima Comunione.
Il bambino/a inserito in un gruppo affidato ad una catechista per la preparazione alla Prima Comunione si viene a trovare tagliato/a fuori dal suo gruppo, perché la sua data di Prima Comunione coincide con la festa del cuginetto o altro.
La spiegazione è semplicissima: pur di salvare l’importanza individuale del bambino (la festa tutta per lui, ecc.), si sacrifica l’aspetto comunitario della Comunione (insieme con i bambini del proprio gruppo, ecc.). “Se si facesse – si dice – una festa unica con i cugini, zii, ecc., mio figlio non sarebbe l’unico: le attenzioni, la festa verrebbero distribuiti con altri”.
In riferimento alla Prima comunione, ho incominciato a fare queste considerazioni con i genitori: avendo la Comunità adottata la tunica, non impegnatevi con il vestitino bianco “da sposina”: tra l’altro è superfluo…
In Diocesi con i soldi che si consumano per i “vestiti bianchi” si potrebbe, ogni anno, costruire una chiesa nuova o rinnovare una chiesa. Salta la comunione dei beni, la collaborazione alla comunità, ecc…, propria della Prima Comunione, per privilegiare aspetti che non hanno nessun rapporto con la Comunione: hanno solo rapporti con l’esaltazione dell’individuo, del figlio.
Non riusciamo a distaccarci di un millimetro dalla cultura individualista e privatista. Eppure se avessimo giovani genitori che oltre alla propria professione, al proprio ruolo nella famiglia, si allargassero, dessero del tempo, del cuore alla Comunità, quante cose cambierebbero: il luogo vero della vita sarebbe, per i figli, la Comunità; il soggetto impegnato in Comunità avrebbe una crescita non solo in campo educativo e nei valori morali, ma avrebbe un’occasione di amicizia vera e di gioia della vita.
Padre Vincenzo de Filippis
Andria lì 13 Giugno 1992
“Festa San Antonio da Padova”